Imponente. Perfetto.
Sfolgorante.
Colla mano destra – era in piedi – teneva il suo scettro che è anche il suo vessillo.
Una lunga asta, quasi un pastorale, ma ancora più alto del mio altissimo Gesù, che non finisce con il ricciolo del pastorale ma in una asta traversa, che forma perciò una croce, dalla quale pende, sostenuto dall’asta più corta, un gonfalone di luminosissima, candida seta, segnato da ambo i lati da una croce porpurea; sul gonfalone è scritto a parole di luce, quasi fosse scritto con diamanti liquidi, la parola: “Gesù Cristo”.
Vedo molto bene le piaghe delle mani poiché la destra tiene l’asta in alto, verso il gonfalone, e la sinistra accenna alla ferita del costato, che però non vedo altro che come un punto luminosissimo da cui escono raggi che scendono verso terra.
La ferita a destra è proprio verso il polso e pare un rubino splendentissimo della larghezza di una moneta da 10 centesimi[33].
Quella di sinistra è più centrale e vasta, ma si allunga poi verso il pollice.
Splendono come carbonchi vivi.
Non vedo altre ferite.
Anzi il Corpo del mio Signore è bellissimo e integro in ogni sua parte.
Il Padre guarda il Figlio alla sua sinistra.
Il Figlio guarda sua Madre e me.
Ma le assicuro che se non guardasse con amore non potrei sostenere il fulgore del suo sguardo e del suo aspetto.
È proprio il Re di tremenda maestà di cui è detto.
[34] Più la visione dura e più si aumenta in me la facoltà di percepire i più minuti particolari e di vedere sempre più in vasto raggio.
Infatti dopo qualche tempo vedo S. Giuseppe (presso all’angolo dove è il Presepio[35]).
Non è tanto alto, su per giù come Maria.
Robusto.
Brizzolato nei capelli, che sono ricciuti e corti, e nella barba tagliata quadrata.
Naso lungo e sottile, aquilino.
Due rughe incidono le guance partendo dagli angoli del naso e scendendo a perdersi ai lati della bocca, fra la barba.
Occhi scuri e buonissimi.
Ritrovo in essi lo sguardo amorosamente buono di mio padre.
Tutto il volto è buono, pensoso senza essere mesto, dignitoso, ma tanto, tanto buono.
È vestito di una tunica blu-violacea come i petali di certe pervinche ed ha un manto color pelo di cammello.
Gesù me lo addita dicendomi:
“Ecco il patrono di tutti i giusti”.
Poi la Luce mi richiama lo spirito dall’altro lato della camera, ossia verso il letto di Marta[36], e vedo il mio angelo.
È in ginocchio, volto verso Maria che pare venerare.
Biancovestito. Le braccia messe a croce sul petto con le mani che toccano le spalle. Ha il capo molto curvo, per cui poco lo vedo in viso. È in atto di profondo ossequio.
Vedo le belle ali lunghe, candidissime, pontute, vere ali fatte per trasvolare rapide e sicure da Terra a Cielo, ora raccolte dietro alle spalle.
Mi insegna, col suo atteggiamento, come si dice: “Ave, Maria”.
Mentre ancora lo guardo, sento che qualcuno è presso a me dal lato destro e che mi posa una mano sulla spalla destra.
È il mio S. Giovanni col suo volto splendente di ilare amore.
Mi sento beata. E mi raccolgo in mezzo a tanta beatitudine credendo aver toccato il culmine.
Ma un più vivo sfavillare dello Spirito di Dio e delle Piaghe di Gesù, mio Signore, aumenta ancora la capacità di vedere.
E vedo la Chiesa celeste, la Chiesa trionfante!
Tento descrivergliela.
In alto, sempre, il Padre, il Figlio ed ora anche lo Spirito, alto sopra i Due, framezzo ai Due che collega coi suoi fulgori.
Più in basso, come fra due pendici azzurre, di un azzurro non terreno, raccolta in una beata valle, la moltitudine dei beati in Cristo, l’esercito dei segnati[37] col nome dell’Agnello, una moltitudine che è luce, una luce che è canto, un canto che è adorazione, una adorazione che è beatitudine.
A sinistra le schiere dei confessori.
A destra quelle dei vergini.
Non vidi la schiera dei martiri, e lo Spirito mi fa capire che i martiri sono aggregati ai vergini poiché il martirio riverginizza l’anima come fosse pur mo’[38] creata.
Mi paiono tutti vestiti di bianco, sia i confessori che i vergini.
Quel bianco luminoso della veste di Gesù e Maria.
Luce emana dal suolo azzurro e dalle azzurre pareti della valle santa quasi fossero di zaffiro acceso.
Luce emanano le vesti di diamante tessuto.
Luce, soprattutto, i corpi ed i volti spiritualizzati.
E qui mi industrio a descriverle ciò che ho notato nei diversi corpi.
Corpo di carne e spirito vivo, pulsante, perfetto, sensibile al tatto e contatto, è unicamente quello di Gesù e Maria: due corpi gloriosi ma realmente “corpi”.
Luce dalla forma di corpo, tanto perché possa esser percepibile a questa povera serva di Dio, l’Eterno Padre, lo Spirito Santo e l’angelo mio.
Luce già più compatta S. Giuseppe e S. Giovanni, certamente perché ne devo udire la presenza e la parola.
Fiamme bianche, che sono corpi spiritualizzati, tutti i beati che formano la moltitudine dei Cieli.
Fra i confessori non si volta nessuno.
Guardano tutti la Santissima Trinità.
Fra i vergini si volge qualcuno. Distinguo gli apostoli Pietro e Paolo perché, per quanto luminosi e bianco- vestiti come tutti, hanno il volto già più distinguibile degli altri: un caratteristico volto ebraico.
Mi guardano con benignità (meno male!).
Poi tre spiriti beati, che comprendo essere di donne, che mi guardano, accennano e sorridono. Si direbbe che mi invitano. Sono giovani. Ma già mi pare che i beati abbiano tutti una stessa età: giovanile, perfetta, ed una uguale bellezza.
Sono copie minori di Gesù e Maria.
Chi siano queste tre creature celesti non posso dire, ma poiché due portano le palme e una solo dei fiori – le palme sono l’unico segno che distingue i martiri dai vergini – credo di non errare nel dire che sono Agnese, Cecilia[39] e Teresa di Lisieux.
Quel che, nonostante il mio buon volere, non le posso dire, è l’Alleluia di questa moltitudine.
Un’Alleluia potente e pure soave come una carezza.
E tutto ride e splende più vivo ad ogni osanna della moltitudine al suo Dio.
La visione cessa e nella sua intensità si cristallizza in questa sua forma.
Maria mi lascia e, con Lei, Giovanni e Giuseppe, prendendo la prima il suo posto di fronte al Figlio e gli altri il loro nella schiera dei vergini.
Sia lode a Gesù Cristo.
[26]
chiama, in Giovanni 16, 13. Accanto alla data, la scrittrice mette il rinvio a Isaia 45, 11.16.18.19.21.23.
[27]
uscii… è citazione da Siracide 24, 3…
[28]
dico, come Gesù sulla croce in Luca 23, 34.
[29]
l’ha detto in Matteo 12, 32; Marco 3, 29; Luca 12, 10.
[30]
visioni della Grotta, già menzionate il 29 dicembre 1943 ma che non si trovano descritte.
[31]
colore (peraltro giustificato dalla luce d’oro e dagli azzurri) potrebbe leggersi anche calore.
[32]
e perciò a destra del suo Figlio è aggiunto dalla scrittrice come nota in calce alla pagina autografa.
[33]
una moneta da 10 centesimi misurava poco più di 2 cm. di diametro.
[34]
è detto nel “Dies irae, dies illa”, canto liturgico che faceva parte della messa dei defunti.
[35]
Presepio, che nel tempo di Natale veniva allestito nella stanza dell’inferma Maria Valtorta, sulla scrivania posta di fronte al suo letto, nell’angolo a destra.
[36]
il letto di Marta (si tratta di Marta Diciotti, menzionata spesso e già presentata nel volume precedente, in nota al 3 giugno 1943) era un lettino senza spalliere, addossato alla parete parallela al letto di Maria Valtorta.
[37]
l’esercito dei segnati, cioè di coloro di cui si parla in Apocalisse 7.
[38]
pur mo’, espressione di origine dialettale e ormai disusata, significa or ora.
[39]
Agnese e Cecilia, le due vergini dei primi secoli, venerate come sante martiri a Roma fin dall’antichità; Teresa di Lisieux, la nota santa carmelitana francese (1873-1897).